domenica 21 ottobre 2012

Una rosa, è una rosa, è una rosa. (Gertrude Stein)

Provocare è bello. Rimanere stupiti in conseguenza è meraviglioso. Ho sempre desiderato che qualcuno rubasse una rosa per me, o almeno un fiore ma sempre invano.
I primi fiori che ho ricevuto me li mandò la fioraia per consolarmi del fatto che nonostante ne mandassi molti non ne ricevessi mai abbastanza (anzi proprio nessuno).
Poi è capitata qualche rosa, ma mai rubata. Oggi invece guardo il vecchio tavolo che domina il soggiorno e che è spesso teatro di serate in compagnia e lo trovo più bello.
Al centro un bicchiere, poca acqua e una rosa rosa.
La prima rosa rubata per me. Sono talmente felice per questo che sto ascoltando gli Air Supply (questa volta senza vergognarmene).
Più la guardo, più una piacevole sensazione di miglioramento mi assale. Mi viene da sorridere e guardo la rosa. La osservo alla luce del sole che a quest'ora illumina la mia casa e la sensazione di miglioramento viene scavalcata da una sensazione di felicità. Hanno veramente rubato una rosa per me.
La osservo ancora e prima di uscire per pranzo penso che non sfiorirà mai. E con questa insensata certezza vado a vedere cosa succede là fuori.

venerdì 12 ottobre 2012

Succede che

Mi sveglio e mi dico: ora chiudo il blog. In fin dei conti scrivo ma non pubblico e da esercizio di scrittura sta diventando diario on line di un trentenne noioso. Allora penso all'ultimo post, una sorta di dichiarazione di intenti futuri. Ma di intenti futuri non ne ho.
Succede anche che pensi a come stia andando il tutto e mi dico: bene, fermiamoci. Stiamo per schiantarci, non abbiamo altra via d'uscita almeno rallentiamo in modo da avere un impatto meno violento.
Ma in fin dei conti non chiudo il blog e non mi schianto. Mi piacerebbe razionalmente capirne il motivo ma al momento non ci riesco. Né per il blog né tantomeno per lo schianto. Allora osservo. In casa mia una grossa finestra mi separa dal mondo del quartiere più bello di Pisa. Una via dove le mamme corrono a scuola trascinando i bimbi (sì trascinando come se fossero dei trolley), i militari dell'aeroporto parcheggiano in ogni punto immaginabile e gli studenti vanno in bici contromano. Non li ferma la pioggia e non si scontrano quasi mai.
Vagheggio un po' e mi chiedo dove stiano correndo tutti. In realtà li invidio, molti anni fa ero come loro. Correvo senza chiedermi nemmeno il perché e cercavo di non pensare. Ma i pensieri come i Gremlins si sono moltiplicati e mi hanno chiesto il conto obbligandomi a pagarlo in scomode rate mensili.
Ritorno a me e mi richiedo perché non mi schianti e perché non chiuda il blog. In fin dei conti forse una piccola parte di me crede che possa avere qualcosa di buono dalla vita e attende, a volte senza impegno, a volte presa da troppa stanchezza.
Attendo qualcosa, un qualcosa migliore di tutto quello che ho provato fino ad ora. Non me ne rendo conto, non corro più ma aspetto.
E con il blog cosa faccio? Attendo. Aspetto di scrivere. Perché credo, nel profondo del mio essere, che il post più bello non l'abbia ancora scritto.


Ps E mi stupisco che riesca ancora a scrivere di getto senza fermarmi, senza aspettare nulla.

giovedì 4 ottobre 2012

Nella buona e nella cattiva sorte

Per qualcuno il 2012 è l'anno della fine del mondo, per me è l'anno dei matrimoni. Sopravvissuto a sabati e domeniche di festa, già arrivano proposte per l'anno venturo.
Gli sposi cambiano, il vestito resta lo stesso mentre camicie e gemelli vanno a nozze in modi diversi.
Immancabilmente tutti questi matrimoni mi fanno pensare non tanto al mio futuro affettivo (che è un po' come la Grecia) quanto ai rapporti di coppia in generale. Vedo amici che si sposano fiduciosi nel loro futuro e provo una sensazione anzi una certa condivisione del momento. Intanto vedo altri amici che dopo anni di matrimonio o convivenza chiudono una storia. 
Niente di strano, nulla è eterno e spesso le situazioni cambiano. O meglio le condizioni. Perché un rapporto si basa su condizioni e non solo su quelle contrattuali. Una mia amica rispose al prete, che era andato a ricordarle che il matrimonio è un giuramento di fronte a dio, che lei prometteva l'amore all'uomo che sposava in quel momento.
Ora detto così sembra una dichiarazione di tradimenti futuri, mentre lei si riferiva alle condizioni.
Ci sono eventi che ci cambiano, ci sconvolgono. Non sappiamo affrontare la morte e ancor peggio non sappiamo affrontare la sofferenza. Questi eventi cambiano la nostra persona o forse tirano fuori parti del carattere che erano sopite.
Cambiamenti che modificano le condizioni, condizioni su cui si basa il rapporto, rapporto che finisce (a almeno dovrebbe).
In realtà eccezion fatta per amici e amiche separati (ma quanti siete!) conosco anche chi crede nel matrimonio come scelta di  impegnarsi senza se e senza ma. Non riesco però a convincermi che sia questa la posizione giusta o almeno la forma mentis ideale.
Poi ripenso alla formula, nella buona e nella cattiva sorte e la trovo abbastanza ridicola. Nella buona sorte cosa ci vuole a mandare avanti un rapporto? Nulla va da se. Ma nella cattiva? Cosa si intende per cattiva? Condizioni che cambiano? Marito violento? Moglie infedele?
Avrebbe senso mandare avanti un rapporto così?

Poi mi rilasso e mi ricordo che in fin dei conti non mi tocca più di tanto. Io e la mia solitudine stiamo sempre insieme. Nella cattiva e nella peggiore sorte.