martedì 19 novembre 2013

Don't stop believing

Un mondo diverso è possibile? Una classe politica disinteressata, capi religiosi oscurantisti convinti che tu non debba pensare ma accettare e il disinteresse dilagante di quel gruppo astratto che noi chiamiamo società senza renderci conto di quanto sia concreto.
Orfano di serie televisive da seguire con un finale pessimo di Dexter e l'attesa di Pretty Little Liars a gennaio mentre scopro giorno dopo giorno Breaking Bad e Queer as Folk versione inglese ho riguardato qualche episodio di Glee.
Non che mi piaccia particolarmente, Glee è pensata per i teen agers e per chi ama la musica e io appartengo a quelli che alla radio ascoltano chi parla e non chi canta( e nemmeno alla generazione teen). Glee però ha un merito non indifferente sottolineato dal fatto della particolare età degli spettatori. Glee ha il coraggio di affrontare i cambiamenti della società.
Il Glee club è un gruppo di cantanti ballerini di un liceo dell'Ohio. Potrebbe sembrare la nuova versione di Saranno Famosi o di Beverly Hills ma la differenza è proprio nello stereotipare i personaggi. In Glee non c'è solo la ragazza stronza, il bullo e il giocatore di football, il ragazzino timido e omosessuale e la ragazza svampita. In Glee si trovano la protagonista figlia di due padri (di cui uno nero e uno ebreo), la ragazza madre di famiglia iper cattolica che darà il figlio in adozione e la studentessa affetta da sindrome di Down. Già basterebbero loro per renderla innovativa ma nella quarta serie gli sceneggiatori hanno introdotto un personaggio nuovo, stereotipato anche lui, ma per la prima volta in una serie televisiva per adolescenti.
Il personaggio si chiama Wade ma si fa quindi chiamare Unique perché inizia ad accettare non la sua sessualità che è chiara quanto il suo genere. Una serie pensata per i teen agers dove uno dei personaggi soffre per un problema di genere. In parte pensare che una serie televisiva che probabilmente un giorno potranno guardare i miei nipoti mi rende quasi ottimista verso un diverso mondo possibile. Poi Passando in cucina vedo in tv quei soliti noti politicanti che nemmeno permettono il matrimonio omosessuale (citando a sproposito e sbagliando la Costituzione) e strani concetti naturali sul matrimonio come se fosse un dono arrivato sulla terra e non un mezzo creato dall'uomo per dare un'organizzazione sociale. Smetto di essere ottimista e il pessimismo riprende piede.
Benedette siano le serie televisive e per rimanere in stile Glee, Don't stop believing!

giovedì 7 novembre 2013

La verità ci fa male?

Giudizi a parte una delle cose che noto in aumento tra le persone che mi circondano e che osservo è la difficoltà a chiamare le cose con il proprio nome. Un po' come si fa con la parola cancro oppure tumore e si parla di brutto male (ma poi esistono mali belli?). Non chiamiamo le cose con il proprio nome e cerchiamo di renderci la pillola più digeribile, in assenza di zucchero. Un altro esempio è la parola fallimento. Abbiamo fallimenti nella nostra vita, sia essa professionale o affettiva, pubblica  e privata. Però non sento dire frasi del tipo "Ho fallito" ma gente che ci gira intorno. Fallire è una sconfitta? Forse si ma la vera sconfitta sta nel non riuscire ad ammetterlo. Avrò fatto due forse tre scelte giuste nella vita, le altre sono state sbagliate dettate dall'ottimismo, dalla presunta e ormai estinta fede e dal mio animo sognatore. Ci ho messo anni ad accettare alcune scelte come fallimenti e nel momento che le ho iniziate a chiamare per quello che sono state ho ricominciato cercando questa volta di non commettere gli errori precedenti (ma ormai non ho ottimismo, fede e non dormendo sogno ben poco).
In tempi di politicamente corretto il nostro professore di lingua dei segni ci aveva detto o meglio ci aveva spiegato e scritto che il termine da usare è "sordo". Non sordomuto, audioleso, ipoqualcosa, etc. A sostegno del termine c'è una legge che impone di usare il termine sopracitato. Un chiaro esempio di come dovremmo chiamare le cose. Con il loro nome.
Ora, sereno per avere scritto finalmente due nuove righe mentre mi accingo a rinnovare il dominio per un altro anno, prometto a me stesso di chiamare le cose con il loro nome senza nascondere la verità. Per cui perdonatemi miei cari nipoti ma devo dirvi la verità: Peppa Pig è una maiala.