giovedì 27 dicembre 2012

Numero 32

Mi sono perso in un abbraccio. Per un attimo mi sono sentito sollevato, un attimo che è durato minuti, minuti che sono diventati ore. Concentrato solo sul momento ma soprattutto rilassato. Un abbraccio che mi sono portato nel letto, come se potesse continuare quella sensazione di totale riparo dal mondo.
Un abbraccio tanto bello quanto inaspettato, tenero almeno quanto sincero. Era un abbraccio caldo per mettermi al riparo dal freddo che in questi giorni non mi sta risparmiando.
Era un abbraccio forte per ricordarmi che di forza ne ho anche io, nascosta in qualche vicolo cieco della mia testa.
Era un abbraccio intenso per potermi portare a casa il ricordo di una piacevole serata.
Ma soprattutto era un abbraccio sincero, che in cambio ti chiedeva la stessa cosa: un po' di affetto.

domenica 16 dicembre 2012

Si muore anche così, d'autunno, alla stazione

C'è una panchina alla stazione che da qualche giorno è vuota. Ho conosciuto Luca in una delle mie notti insonni, quelle notti in cui passeggiare in cerca di qualcuno con cui parlare mi ha salvato di pensare a me stesso. Si è avvicinato lui e mi ha chiesto una sigaretta e mi è dispiaciuto non averne un pacchetto con me (cosa ovvia visto che non fumo). Per una volta ho preso la palla al balzo e mi sono presentato. Quella che poteva essere una chiaccherata estemporanea è stata la prima di un rapporto fatto di discorsi sui massimi sistemi, qualche sigaretta, una coperta e intelligenza.
Cosa mi colpisce sempre dei barboni che conosco è che la maggior parte di loro sono persone intelligenti che riescono a mettermi fortemente in discussione. Sono cresciuto con l'idea che chi vive in strada sia qualcuno che abbia rinunciato. Mi sono ricreduto grazie al freddo, al vivere vicino alla stazione e al cercare umanità in mezzo alla banalità.
Mi sono ritrovato a parlare con un ingegnere di Milano, Luca appunto, del non senso del vivere, dell'enorme perdita di tempo che è. Gli avevo promesso un libro di Pavese ma la morte ha scelto diversamente.
E ora c'è un panchina vuota, un libro in attesa e un amico in meno.

giovedì 13 dicembre 2012

E' per te il tredici dicembre


Tredici anni il tredici dicembre che ti conosco. Ho saputo del tuo arrivo una domenica di aprile in mezzo alle scatole del mio imminente trasloco, il primo di una lunga serie. Ho tanti ricordi di te e di noi. Una fiaba letta prima di andare a nanna, una passeggiata per quella stradina che porta dalla piazza del paese fino alla chiesa del borgo. Anni fa feci la stessa passeggiata ma nel ruolo del più giovane, il bimbo insomma. Caso vuole che fossi con un'amica di mia madre (la storia si ripete non trovi?).
Ho in mente i biglietti che ti ho mandato negli anni, soprattutto il primo e tutti i pupazzetti che animano la tua cameretta (cameretta... è il doppio della mia!) che ti ho cercato in giro per la Toscana.
Porto con me le ansie della tua mamma, le sue naturali paure e la sua determinazione a risolverle. Ma ho condiviso anche le soddisfazioni che le hai dato e che continui a darle.
Da quel tredici dicembre fai parte della mia vita e oggi, per la prima volta, ti faccio i miei auguri e  ti dico, anzi ti scrivo che ti voglio bene.

mercoledì 12 dicembre 2012

Voglia di cambiamento

Riccardo

Where is my mind?

Ho un telefono cellulare e due schede telefoniche. Centosessantacinque contatti nella rubrica. Scrivo messaggi, chiamo, rimango in contatto con la rete sociale che fa parte della mia vita. La mia voce arriva a Firenze, Savona, Torino, Milano, Cremona, Terni. Così fanno i messaggi, giusto connubio tra la mia voglia di scrivere e il potere della sintesi.
Ho un telefono fisso. Sarebbe meglio dire che a volte mi ricordo di averlo, altre associo il suo suono a una chiamata dei miei vicini. Casa mia è aperta a tutti, pronta a tutto. Ancora non ho ben chiaro quante persone abbiano le copie delle chiavi di casa nostra e non mi spaventa. Mi piace pensare che "benvenuto" non sia solo una parola di circostanza. 
Uso Skype. E vedo il sole in paesi mentre qui è notte. Uso iChat, ma poco perché quasi nessuno lo usa. Non sono sui social network semplicemente perché non mi interessano e non ne ho bisogno ma ne  riconosco il valore (almeno quello potenziale). Non faccio foto, non ne ho e non le pubblico. Trovo fastidioso sapere che ci sono foto mie su facebook, ma di quello se ne occuperà il mio avvocato.
Sono sociale seppur non molto socievole. Mi sforzo di rimanere in contatto con chi fa parte della mia vita e vuole continuare a farne parte. Mi ritrovo a dispensare consigli sulla vita affettiva degli altri nonostante io non ne abbia una da tempo. Riesco ad esserci. Metto anima e corpo nei rapporti umani. Perché a volte serve la parola, altre l'abbraccio, altre ancora la carezza.
Ma nonostante ciò ancora non riesco a rivolgere a me stesso le stesse attenzioni che dedico agli altri. Osservo il soffitto bianco, mi immagino un sole, chiudo gli occhi e mi chiedo dove sia la mia testa.

(Se ti serve la colonna sonora per leggere questo pezzo clicca qui.)